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ANTONIO ATZORI
PASKVALA BLAZEVIC
JEAN BOURDET
FILIPPO D'AGOSTINO
RENATO DE SANTIS
ALBERTO DI GIACOMO
FRANCESCO GALEOTTI
GIOACCHINO GESMUNDO
GIUSEPPE GIUSTI
LUIGI GRASSI
FAUSTO IANNOTTI
VALRIGO MARIANI
FERNANDO NUCCETELLI
DON PIETRO PAPPAGALLO
ALBERTO PASCUCCI
FERDINANDO PERSIANI
FIORINO PETRUCCI
PAOLO PETRUCCI
GIULIO SACRIPANTI
AUGUSTO SPERATI
GIOVANNI TAGLIAVINI
BERNARDINO TROIANI
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Sulla deportazione politica c’è stata per troppo tempo
una forma di oblio da parte degli storici; questo è avvenuto
non solo per la mancanza di documentazione disponibile, ma anche
perchè i deportati politici sono stati a lungo assimilati
ai partigiani che rischiavano la vita per propria scelta.
In realtà tra questi deportati, oltre agli antifascisti,
ai sindacalisti, agli operai in sciopero, c’erano anche persone
prive di connotazione ideologica ma impegnate in una contrapposizione
di resistenza civile. Si pensi per esempio alle donne che protestavano
per la mancanza di cibo, a chi ascoltava radio Londra, a chi rifiutava
l’arruolamento per il lavoro coatto, ma anche ai sacerdoti,
ai renitenti alla leva, a quelli sospettati di aver aiutato gli ebrei,
ai detenuti comuni in attesa di giudizio.
Ripercorrere questa storia,
come quella degli ebrei e degli internati militari, costringe a fare
i conti con le responsabilità del
fascismo, con la sua complicità attiva nella politica di persecuzione
e di sterminio.
Nonostante l’arretratezza negli studi storici (la quasi totalità dei
documenti tedeschi venne distrutta dalla Gestapo di Verona alla fine
della guerra) si sa che tra l’autunno del 1943 e la primavera
del 1945 l’apparato nazista deportò tutti gli italiani
considerati colpevoli di dissenso, di disobbedienza e, quindi, nemici
del Reich. Circa trentamila persone, arrestate o trattenute per sospetti,
vennero avviate ai campi di transito, come quello di Fossoli o di
Bolzano, per essere poi trasferite nei lager; di queste solo il 10% è riuscito
a sopravvivere e a ritornare in Italia.
Si calcola che nei venti mesi
dell’occupazione tedesca i trasporti
di politici dall’Italia verso il Reich furono oltre ottanta;
per dare attuazione a questi trasferimenti erano stati predisposti
campi di raccolta e di transito nelle regioni sotto la Repubblica
Sociale Italiana.
Dachau fu il principale campo di destinazione di
politici italiani, seguito da Mauthausen, Buchenwald, Ravensbrück e Flossenbürg.
La deportazione politica fu una costante per il nazismo e veniva
esibita in funzione intimidatoria per scoraggiare ogni forma di dissenso,
per farla accettare dall’opinione pubblica come una scelta
necessaria per la sicurezza del regime.
Per quanto riguarda Roma,
il primo convoglio di politici diretto a Mauthausen, con oltre quattrocento
deportati, venne costituito a Regina Coeli il 4 gennaio 1944. Tra
di loro c’erano anche
detenuti comuni, o mendicanti rastrellati nelle vie della città;
in questo modo la polizia italiana aveva voluto obbedire tempestivamente
al comandante militare Maeltzer, alla sua richiesta di uomini per
rappresaglia contro lo stillicidio di attentati nella capitale.
Un
trasporto ancora più rilevante fu quello che fece seguito
al rastrellamento del Quadraro. Il 17 aprile 1944, il quartiere venne
circondato, l’operazione era diretta personalmente da Kappler,
che intendeva in questo modo dare risposta alla morte di tre soldati
tedeschi uccisi in una rissa, avvenuta alcuni giorni prima in una
osteria della città.
I deportati nei campi di lavoro furono
oltre settecento, non si sa con certezza il numero dei sopravvissuti,
sembra circa il 50%; tra questi va ricordato Silvio Quaranta la cui
testimonianza è stata
fondamentale per ricostruire la storia di quel 17 aprile, per conservare
e diffonderne la memoria nel quartiere e nelle giovani generazioni.
La
deportazione politica rappresentò dunque un rischio diffuso
che poteva coinvolgere le persone più diverse; a volte bastava
non avere i documenti in regola, cambiare domicilio senza darne notifica,
sostare abusivamente nelle sale d’aspetto, incorrere in reati
legati alla borsa nera, non rispettare l’orario di apertura
di un negozio, viaggiare sul treno o sul tram senza biglietto….
tanto bastava per finire in un convoglio verso i campi di concentramento.
Questa
storia, che non riguarda solo le responsabilità della
Germania, deve diventare patrimonio comune nel nostro paese e parte
importante della memoria nazionale.
Annabella Gioia
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