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Dibbets sceglie lo spazio dove si sono avvicendati:
Giulio Paolini nel 2002 con i sessanta frammenti di un
testo scritto a memoria e, due anni dopo, Edward Wincklhofer,
con l'inquietante pedana a misura d'ambiente interrotta
da una sega circolare in movimento continuo e vorticoso. «Nella
antica Sinagoga di Ostia, la fantasia risveglia le tracce
del passato e le fa rivivere. Le rovine si trasformano
in un edificio. I muri involucrano nuovamente lo spazio.
Siamo ancora qui o eravamo già lì? La fata
morgana si erge sulle fondazioni dei suoi stessi resti.
Erriamo nella realtà e procedendo dritti attraversiamo
i muri. Apri con grande attenzione le porte (che non esistono)
e camminando in punta di piedi e in silenzio entra nello
spazio infinito a perdita d'occhio. E osserva come, nonostante
nulla sia rimasto, tutto sia ancora lì», commenta
Dibbets a proposito di Sinagoga Ostia Antica .
L'edificio, i muri, lo spazio cui allude non sono evidentemente
né quelli originari né la loro ricostruzione,
ma l'idea di edificio, di muro e di spazio che, appena
percepibile, consente l'azzeramento di distanze siderali
e il dialogo tra passato millenario e presente. Assunte
le quattro colonne superstiti come unità di misura,
Dibbets disegna alla loro altezza un perimetro aereo di
foggia rettangolare ancorando fili elastici bianchi a quattro
pilastri di ferro situati esattamente ai quattro estremi
del campo. Altri due fili incrociati a X fungono invece
da parete virtuale. Nel confronto tra la realtà dell'edificio
in rovina e la sua presunta realtà mentale, Sinagoga
Ostia Antica si configura come versione inedita di
quelle «Perspective Corrections» cui l'artista
olandese attende dal 1967 |
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