Blaster e Space Harrier sono due mosaici dai
colori squillanti interrati nei dintorni della sinagoga. L'idea è porre
in relazione oggetti archeologici virtuali con un sito archeologico
reale. L'immagine virtuale, due crateri prodotti dalle bombe, è per
sua natura senza corpo, immateriale e precaria. Costruita però con
tessere di ceramica, acquista non solo fisicità ma anche
memoria, dunque spessore e dignità storica. «L'oggetto
si comporta come un parassita o un camaleonte. Tenta di assumere
l'identità del luogo cambiando pelle e acquistando 'corpo'
attraverso un materiale reale», spiega Weinstein. La sinagoga,
cioé, luogo pregno di storia e di memoria, i cui pavimenti
sono ricchi di tracce di decorazione musiva, offre la sua identità a
un'immagine che ne è priva. Di contro, il disegno astratto
del cratere di una bomba elaborato dal computer, realizzato in
quel luogo e in quel momento storico, diviene drammaticamente
reale ed evocativo, il simbolo della distruzione di quell'identità e
di quella memoria da lei stessa assunte per esistere. Nel passaggio
dalla virtualità dell'immagine alla realtà dell'oggetto,
se i colori artificiali si traducono nei toni accesi della ceramica,
l'immediatezza della elaborazione tecnologica si rallenta nel
processo laborioso di costruzione del mosaico. |
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