Arnold DREYBLATT
The ReCollection Mechanism, 2002
Installazione, proiezione nello spazio di dati digitali
The ReCollection Mechanism è una emozionante installazione multimediale ospitata nel sottotempio dove, come in un ossario, si ramificano i tubi di piombo dell’impianto idrico originario. Una griglia di filo metallico, sospesa in uno spazio completamente buio, costruisce un enorme rotolo che si avvolge su se stesso. I testi tratti da Who’s Who su di essa proiettati appaiono magicamente sospesi nello spazio. Il pubblico partecipa alla ricerca, effettuata da due computer, di parole e nomi sul database che, una volta identificate, vengono lette ad alta voce. Il «documento» diventa «monumento», ma immateriale e mutevole, un vuoto animato da testi e voci.
Ripercorriamone la storia. Nel 1985 l’artista trova per caso, in un negozio di libri usati di Istanbul, una copia di Who’s Who in Central & East Europe 1933, un dizionario biografico di 10.000 voci: ecclesiastici, diplomatici, impiegati, tecnici, educatori, militari, industriali, giornalisti, pittori, scultori. Pubblicato nel 1934 a Zurigo, racconta un mondo definitivamente scomparso. Questo imponente Libro della memoria diviene da allora l’ossessione di Dreyblatt. Ne seleziona 765 voci, soprattutto quelle dimenticate o «non più famose» e con esse costruisce un «ipertesto», una sorta di «visita guidata in un’architettura di informazioni biografiche». «Il mio intento non era di riscrivere la storia ma di reinventarla, nel senso di rivitalizzarla attraverso la partecipazione attiva dell’utente e del pubblico», di non confinare dunque la memoria nel passato ma di declinarla al presente. Redige così un nuovo Who’s Who, in ordine alfabetico come l’originale, ma tematico. Esso costituirà il fulcro di tutti i lavori successivi, combinato con altro materiale, a costruire una sorta di «archivio sugli archivi» in progress che, dopo sette anni, conta già al suo attivo oltre 500 pagine fra testi e fotografie. Tutte le installazioni di Dreyblatt hanno carattere interattivo: si fondano su testi, che abbandonano però l’univocità della pagina per divenire architetture reali o virtuali, consultabili al computer o proiettate su schermi di dimensione ambientale. «La memoria non è solo questione di tempo», spiega, «ma anche di spazio per il ricordo e l’archivio. I testi sono anche immagini, oggetti, informazione».