Adolfo Sansolini
Municipio VII
Via Gallia, 96 - Roma
11 gennaio 2016

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Adolfo Sansolini



Nato a Roma il 16/12/1905
Partigiano del Partito D'Azione (Partito Socialista Italiano - PSI)
Sposato con Silvia Sartirana che all'epoca dei fatti aveva 34 anni e 4 figli: Mario di 10 anni, Giulio di 9 anni, Grazia di 5 anni e Sofia di appena 8 mesi.
Quinto di sei figli di Ercole e di Sofia di Rienzo. Questi erano tappezzieri molto apprezzati. Lavorarono per la Real Casa, per la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e gestirono e arredarono il teatro Morgana, gia' Brancaccio.
Adolfo lavorava come commesso presso il negozio di abbigliamento Trani, sito in Via Nazionale, fino alla chiamata alle armi nella milizia contraerea per ordine di Sua maestà che lo destinò alla caserma di Via Palermo, adiacente Piazza del Viminale a Roma.
Verrà congedato alla nascita del quarto figlio, quindi subito dopo il 18 luglio 1943. Probabilmente con la liquidazione dell'attività lavorativa svolta precedentemente, si accordò con il fratello Alfredo, che lavorava forse nel settore dei pianoforti, per acquistare della biancheria da rivendere privatamente. Con certezza questa merce, depositata a casa di Alfredo, venne requisita dopo il suo arresto.
La famiglia non ebbe mai notizie né sentore circa l'attività clandestina per la liberazione dal nazifascismo da parte dei fratelli Sansolini. Tale impegno però li condusse comunque all'arresto, alla tortura presso le carceri di Via Tasso ed infine all'atroce morte presso le cave di pozzolana di Via Ardeatina, tristemente note come Fosse Ardeatine.
Adolfo intanto anche nello stabile in cui abitava, sito a Via Gallia 96, aveva organizzato un possibile piano di fuga qualora i tedeschi si fossero presentati per effettuare una retata di uomini, così come sempre più spesso avveniva all'epoca. Aveva fatto chiudere a chiave il cancello che affacciava su Via Gallia e fornito tutti di chiavi, sia del terrazzo condominiale del 50 bis (oggi civico 96) sia di quelle del terrazzo condominiale attaccato a quest'ultimo con uscita su Via Licia. Inoltre stabilì dei turni di guardia alla finestra, in cui furono impegnati anche i ragazzi più grandicelli del palazzo.
Nonostante queste precauzioni, tuttavia, il giorno 15 di marzo 1944 all'incirca le ore 6 del mattino bussarono alla porta di Adolfo due fascisti in divisa grigioverde, senza stellette ma con distintivi delle SS, uno giovanissimo (Franco Sabelli), l'altro più maturo (Armando Testorio, detto il "soldato") che invitarono Adolfo a seguirli per chiarimenti, rassicurando la moglie che sarebbe rientrato presto.
L'arresto avvenne a seguito di delazione. Si accertò' dopo la Liberazione che i fratelli Sansolini furono denunciati al Comando germanico dal gestore del biliardo, dove talvolta andava a giocare Alfredo, un certo Aristide Balestra.
Alfredo era appassionato del biliardo, in particolare della stecca all'italiana. Si apprese successivamente che per questa sua passione aveva una stecca personale molto leggera. Di fatto era vuota all'interno, talché poteva consentire di occultarvi documenti compromettenti. Alfredo era stato probabilmente spiato mentre inseriva alcuni volantini nell'incavo della stecca.
Il 15 marzo 1944 Adolfo veniva condotto in Via Tasso, dove probabilmente doveva già trovarsi il fratello Alfredo, arrestato la sera del giorno prima. Alfredo dopo l'arresto fu condotto presso una caserma di Via delle Milizie. Dopo la fine della guerra e la ricostruzione degli eventi si apprese, dal sottufficiale dei carabinieri di guardia alla caserma di Viale delle Milizie, che Alfredo ottenne di poter telefonare ai genitori, tentando in tal modo di far avvisare Adolfo. Purtroppo i genitori non sentirono il telefono. È vero anche che prima di questi fatti, quasi certamente nei primi giorni del mese di dicembre del 1943, Adolfo che era stato fermato insieme ad un'altra persona che era alla guida di un furgoncino ed entrambi furono condotti per accertamenti in Via Tasso. Consapevoli dei rischi che stavano correndo decisero, seduta stante, di tentare la sorte ed imboccarono a passo svelto e sicuro l'uscita dalla camera in cui erano stati portati e salutando in tedesco il militare di guardia si allontanarono velocemente. Adolfo raccontò di essere saltato sul predellino del tram che passava proprio davanti a Via Tasso. A seguito di ciò Adolfo, per precauzione si rifugiò a casa dei suoi genitori in Via Bixio dove poi trascorse il Natale con moglie e figli.
La prima, inquietante notizia che arrivò da quel terribile luogo degli orrori che fu il carcere di Via Tasso, fu il respingimento del pacco col cambio della biancheria per Adolfo con la giustificazione che questi era stato trasferito, senza dare ulteriori informazioni. Le affannose ricerche della moglie, in primis presso il carcere di Regina Coeli rimasero senza esito. Finché in data 22 aprile 1944 arrivò a casa la stringata ferale comunicazione in lingua tedesca, che annunciava l'avvenuta morte di Adolfo.
L'impegno di Adolfo e Alfredo nel movimento della Resistenza Italiana fu svelata, dopo l'avvenuta liberazione di Roma, dalla visita, presso l'abitazione di Via Gallia n.50 bis, di un Alto Ufficiale dell'esercito americano che ha consegnato alla famiglia un Certificato di Apprezzamento del Governo Americano per l'attività svolta da Adolfo. La stessa consegna avvenne per Alfredo, al domicilio dei suoi genitori Ercole e Sofia.
Altre informazioni riguardanti la collaborazione di Adolfo e Alfredo ed altri combattenti della Resistenza alla lotta di liberazione dell'Italia e di sostegno alla guerra combattuta dall'esercito degli Stati Uniti d'America emersero solo più tardi con l'apertura ufficiale degli archivi storici dell'Ufficio Servizi Strategici del Governo degli Stati Uniti d'America.
Da questi documenti ufficiali, riportati anche dai giornali italiani ("Messaggero" di Roma del 23 gennaio 2002) e, successivamente, inseriti nel libro "Una spia a Roma" di P. Tompkins, si evince che i fratelli Sansolini aiutarono gli alleati nelle operazioni relative allo sbarco di Anzio. Se quest'ultimo avesse avuto immediato successo avrebbe permesso alla città di Roma di essere libera già dalla fine di gennaio '44 e alla nostra famiglia di non dover raccontare questa storia e piantare queste pietre.

Barbara Gilone